MOVIMENTO PER L’ITALIA
COMUNICATO STAMPA 21.09.2009
aggredita Daniela Santanchè
Ieri, mentre stavamo protestando fianco a fianco contro l’uso del burqa davanti al Teatro Ciak a Milano insieme al Movimento per l’Italia, Daniela Santanchè è stata aggredita.
Non dobbiamo avere paura di dire le cose come stanno, di dire che c’è una cultura che non rispetta la sacralità della vita, che concepisce la femminilità come una forma di schiavitù. Che giustifica le percosse fisiche e psicologiche sulle donne in nome di un maschilismo che pretende di imporsi come modello culturale anche in Occidente.
Noi ci chiediamo come mai il movimento femminista occidentale non parli di questo gravissimo disagio ma si concentri su altre tematiche considerate conquiste sociali, come l’aborto.
Crediamo invece che la prima vera conquista sia quella di veder rispettata la dignità della donna, che si concretizza innanzitutto con considerarle persone. Sembra assurdo dover ripetere oggi questi concetti, ma se guardiamo alla situazione in cui vivono queste donne, possiamo capire che non è così, anzi, che sono pochissime le voci che si innalzano in loro difesa. Per paura o per miopia ideologica. Oppure per superficialità, per quieto vivere.
Invece, per capire questa realtà, come in tutte le cose, bisogna partire dall’evidenza, dall’osservazione, dal dato di fatto. Non ci inventiamo teorie sul mondo musulmano, ma ci immergiamo nella vita concreta, pratica e quotidiana di queste donne, per potervi raccontare testimonianze vere ed autentiche. Afferma Daniela: «c’è una città parallela nelle nostre città, una città sommersa che vive di vessazioni e di abusi. Ma anche di solitudine e silenzi. Circondate da famigliari, parenti, vicini di casa che osservano, giudicano e controllano, alle donne musulmane che non vogliono piegare la testa e cercano di ribellarsi non restano molte vie d’uscita».
Cosa si è fatto fino ad ora in Italia per andare incontro a questa sofferta solitudine? Ancora troppo poco, perché la nostra stessa giurisdizione è piena di cavilli che abbandonano la donna al proprio destino. La poligamia, ad esempio, è un reato solo per i cittadini italiani, quindi per le musulmane valgono le leggi del paese d’origine.
Davvero le violenze subìte da queste donne non ci riguardano? Davvero non ci riguarda una legge, quella del Corano, che sancisce l’inferiorità giuridica e sociale della donna? Una legge che condanna le ragazze a matrimoni forzati e quelle che li rifiutano ad essere giustiziate? E che trova legittimo anche l’assassinio, da parte dei parenti, di una donna che è stata vittima di violenza sessuale perché ha scalfito l’onore della famiglia? Per non parlare poi dell’infibulazione, una pratica che fa venire i brividi solo a descriverla. E da bresciano parlo con la vicenda di Hina Salem ancora viva nei ricordi...
Ecco allora che di fronte a queste ingiustizie non ci stiamo a tacere, a fare del buonismo, a parlare di dialogo a senso unico: il dialogo è possibile ma può esistere solo nel momento in cui a dialogare sono entrambe le parti, non quando vi è solo un Occidente senza coraggio e senza orgoglio, che ha paura di dire chi è e di farsi rispettare.
Il relativismo culturale è invece un’ideologia che cerca di minimizzare il problema, di tollerare chi non ci tollera, di nascondere la testa sotto la sabbia perché ci fa comodo e perché in fondo si ha paura. Questa paura ci impedisce di dire che non è vero che tutte le culture sono uguali. Ma bisogna ricominciare a dirlo, a bucare la vetrina del politicamente corretto, ad affermare l’esistenza di diritti non negoziabili, ad affermare che esistono dei principi intoccabili, come la sacralità della vita e la libertà.
La sinistra, che ci tiene tanto a dichiararsi avanguardista e progressista, non si rende conto di mantenere delle posizioni ideologiche antitetiche, quando imperterrita continua a gridare allo scandalo dell’intolleranza culturale. Questi intellettualini si indignano, parlano di nazismo, di disuguaglianza, di furore antislamico, però non si fanno alcuno scrupolo ad attaccare la Chiesa cattolica, a schernire Ratzinger o i vescovi. Al di là delle bandiere politiche, i pacifisti non si rendono conto che l’unica pace che riescono a raggiungere con il loro solidarismo è quella dei tanti mariti musulmani che possono continuare ad applicare indisturbati il loro dispotismo. Ma queste donne non vogliono essere abbandonate a loro stesse, ci chiedono di combattere, e a noi questa battaglia appassiona molto perché – come afferma la Santanchè - «non vogliamo che le domande di aiuto vengano ancora una volta soffocate nell’abbraccio tra le mediazioni della politica e le rivendicazioni del fondamentalismo».
La questione dei diritti umani dev’essere affrontata in quanto categoria della persona, e non ridotta a categoria della politica; bisogna che la storia venga riscritta su dati oggettivi e non ideologici, come invece si è cercato di fare frantumando l’identità nazionale. Come vice segretario del Movimento, auspico che il popolo italiano, e quindi ognuno di noi, recuperi i valori che hanno sempre contraddistinto l’Occidente, perché solo allora potremo veramente creare un dialogo forte, senza complessi di inferiorità.
Diego Zarneri
Vice segretario Nazionale MPI
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